Tutti coloro che sono convinti che sia esistita ed esista una realtà che si chiama Civiltà occidentale sono altresì convinti che questa realtà si sia manifestata e consolidata attraverso una serie di eventi e momenti topici. Allo stesso tempo, le versioni e le ricostruzioni della storia di una presunta Civiltà occidentale sono molteplici e spesso confliggenti, finendo con il delineare un quadro solo apparentemente unitario, simile al vestito di Arlecchino.
Esistono però una serie di interpretazioni ricorrenti, o comunque più diffuse di altre, che sono quelle che prendo in considerazione nel mio libro The Myth of Western Civilization. Ad esempio, che una prima idea di Europa – Occidente contrapposta all’Asia-Oriente sia nata con la guerra di Troia e che poi abbia avuto il suo conseguente sviluppo nelle due guerre che videro contrapposte la Grecia-Occidente e la Persia che si identificava con l’Asia tutta. Lo stesso Erodoto, il principale storico delle guerre persiane, riprende questa idea diffusa nel conteso ellenico del suo tempo. Un altro tema ricorrente fra gli occidentalisti è il legame fra la civiltà greca e quella romana che ne avrebbe ripreso l’eredità e diffuso nel mondo la cultura greca, come prima aveva fatto Alessandro Magno. Ai tempi di Augusto, Dionigi di Alicarnasso nelle Antichità romane sosterrà che Roma era una città greca fondata da greci. Il passo ulteriore che spesso troviamo fra quanti ricostruiscono una presunta storia dell’Occidente, consiste nello stabilire un nesso di continuità fra mondo greco-romano e mondo cristiano che ne avrebbe ereditato le caratteristiche principali, poi trasmesse al mondo moderno ed alla moderna democrazia. Per un altro verso, a questa storia dell’Occidente si è spesso legata la storia dei suoi competitors, di realtà come l’Asia, i Fenici, la Persia, Cartagine, l’Islam, il comunismo… Credo di aver documentato nel mio libro l’inconsistenza di queste ricostruzioni assieme all’impossibilità di descrivere come contrapposte e conflittuali la dimensione dell’occidente europeo e dell’oriente asiatico o di rappresentare la cosiddetta classicità come una dimensione puramente europea ed occidentale. Qui di seguito presento una serie di testi quasi tutti notissimi, per ricostruire una “contro storia” dell’Occidente, in almeno due sensi diversi. Per un verso cercherò di mostrare che alcuni testi posti alle origini della Civiltà occidentale, in realtà si prestino a letture assai differenti, perché sono la testimonianza di un Occidente che non solo si contrappone all’Oriente ma ne condivide valori, costumi, divinità e stili di vita. È quanto appare, ad esempio, in classici come l’Iliade, le Storie di Erodoto e l’Eneide, ma che per altri aspetti anche nel libro sacro dell’Islam, nel Corano. Proporrò anche dei libri che sono in netto contrasto con il principio di contiguità e di continuità fra diverse epoche della storia europea, come il mondo greco-romano e il cristianesimo o il cristianesimo e la democrazia. In ultima istanza, proporrò attraverso il commento di testi i contributi non occidentali allo sviluppo della cultura classica ed europea, che è sovente considerata un prodotto esclusivamente autoctono.
Omero, Iliade. Una guerra fra Greci. La celebre cronaca delle fasi finali della guerra di Troia attribuita ad un aedo di nome Omero è uno dei testi all’origine della cultura greca, quindi europea. È la descrizione della più antica guerra conosciuta fra Grecia/Europa e la capitale dell’Asia più prossima, quella anatolica, cioè Troia. Questo evento non è stato raccontato da uno storico, ma da un aedo, un poeta, che non parla di politica, di relazioni internazionali o di economia. È un racconto epico, dove la storia presunta si intreccia con il mito, dove gli Déi si trovano al fianco degli uomini, intessono con loro relazioni conflittuali, di vicinanza o addirittura d’amore, come nel caso di Anchise e Afrodite, relazione che genera Enea, capostipite dei Romani. Gli storici, però, e gli archeologi si sono in seguito a lungo occupati di questa vicenda che oggi si ritiene realmente avvenuta qualche secolo prima della sua rappresentazione nell’Iliade. Si occupò di questa vicenda anche il più celebre storico del mondo greco, quello che Cicerone definì il “Padre della Storia”, Erodoto, l’autore di quelle Storie dove le tematiche veramente storiche sono quelle che descrivono le guerre persiane, poco più di dieci anni, da Maratona a Platea. Erodoto però inizia il suo libro con il mito, con il rapimento di Io, di Europa, Medea, Elena. Erodoto comincia con storie di Greci e Fenici, di Troiani e altri asiatici. Erodoto spiega che le guerre persiane hanno un antefatto, altrettanto maestoso e universale, la guerra di Troia. I Persiani sono i nuovi Troiani, anche loro asiatici. I Greci sono sempre gli stessi, sono solo cambiati i rapporti di forza al loro interno: ora ci sono Atene e Sparta a guidare le città della Grecia. Erodoto non crea questo presunto collegamento, se ne fa solo testimone, se è vero che persino in ambito persiano si riconosce la contiguità fra questi due eventi, perché lo stesso Serse, il Gran Re, si ferma a Troia nel suo viaggio di avvicinamento alla Grecia per fare sacrifici e per informarsi, scrive Erodoto, sugli eventi lì un tempo accaduti. L’idea di un conflitto ancestrale fra la Grecia, cioè l’Europa, e Asia viene elaborata nel contesto ellenico in occasione delle guerre persiane, ma poi rimarrà come un’acquisizione certa, almeno fino ad Alessandro Magno, che si presenterà come un nuovo Achille e un vendicatore dei Greci. Ma la versione di Erodoto, che per certi versi è una versione anti litteram del clash of civilization, è la stessa presente in Omero, la stessa che troviamo nell’Iliade? Per rispondere a questo quesito potremmo far ricorso in prima istanza al racconto di Omero, ma pure agli storici moderni e all’archeologia.
Nell’Iliade Greci e Troiani sembrano condividere una stessa visione del mondo e della vita, onorano gli stessi dèi, parlano la stessa lingua, combattono alla stessa maniera, hanno pratiche funerarie simili, si richiamano agli stessi valori, si innamorano l’uno dell’altro. Nell’Iliade il modello di virilità, di ereté, tanto sul piano privato che sociale è rappresentato non dall’ emotivo e volubile Achille, ma da Ettore equilibrato e saldo nei principii, pronto a morire per la sua gente se necessario. Ettore riunisce in se la figura del padre affettuoso, del marito premuroso ma fermo, dell’eroe che non antepone niente ai suoi doveri di guida e di esempio per la sua comunità. Lo stesso nome Ettore non è asiatico, ma greco, come è stato accertato dalla ricerca moderna. Anche il conflitto fra Achei e Troiani fu in realtà una stasis, una guerra civile fra greci d’oriente e d’occidente per il controllo di una delle zone più nevralgiche del Mediterraneo orientale. Se l’idea di occidente nacque a Troia, nacque come la rappresentazione di un conflitto civile, come una stasis. Se Troia fu un esempio originario, questo esempio consistette nel rappresentare uno dei primi casi di conflitto fra greci, se vogliamo fra europei, fra persone che condividevano lingua, costumi e religione.
Le Storie di Erodoto. Le guerre persiane: polemos e stasis. Se in principio fu Troia ad essere individuata come la fonte originaria del conflitto fra Asia ed Europa/Grecia, in realtà sul piano squisitamente storico questo presunto conflitto ebbe un’origine precisa: risale alla rivolta delle colonie greche dell’Asia Minore, con a capo Mileto, al coinvolgimento di Atene in questa vicenda e poi al primo tentativo di invasione dell’Attica fermato a Maratona nel 49’ a.C. e dopo dieci anni all’invasione della Grecia da parte dei Persiani, fermata a Salamina e un anno dopo a Platea. Dopo le guerre persiane si forma il mito di una incompatibilità di civiltà e visioni del mondo fra Asia ed Europa che sarebbe stata una delle cause dei loro conflitti. Ad esempio, sul piano politico si rappresenta la Grecia come il paese e la cultura della libertà, mentre la Persia e l’Asia incarnerebbero la dimensione dell’autarchia e del dispotismo politico, del potere monarchico che in Grecia si identificava con quello tirannico. Questa rappresentazione del monarca orientale, poi musulmano, come l’esempio per antonomasia del potere assoluto, si manterrà come un luogo comune in tutta la storia europea, condiviso da intellettuali e politici del più diverso orientamento. Si potrebbe ricordare che la figura del sovrano monocratico, cioè del re/tiranno è del tutto interna alla storia greca: a quella più antica, basti pensare alle figure di personaggi dell’età micenea come Agamennone, Menelao ed Ulisse; oppure a Filippo il macedone e a suo figlio Alessandro, che assunse il titolo e le funzioni di “Re dell’Asia”, presentandosi come il vincitore –successore di Dario III Codomano e un continuatore della dinastia reale achemenide. Le “guerre persiane”, però, furono qualcosa di più complesso di uno scontro fra Persiani e Greci. Accanto ai Persiani si schierarono molti greci con ruoli di alleati attivi, cioè di cobelligeranti, altri svolsero attività di sostegno logistico o scelsero la non interferenza, come Argo, cioè la neutralità, “ma, se è lecito parlare con franchezza-commentò Erodoto- pur conservando la neutralità esse stavano dalla parte dei Persiani”(VIII,73). Ci furono almeno tre categorie di greci schierati in modo più o meno diretto con i Persiani. Facevano parte a pieno titolo dell’esercito persiano che invase la Grecia nel 480 aC i greci dell’Asia Minore sudditi del Gran Re, perché obbligati e non per una libera scelta. Ma Erodoto ci informa pure che i marinai greci al servizio di Serse rifiutarono l’appello degli altri greci di abbandonare il figlio di Dario e di schierarsi dalla loro parte e che a Salamina solo due triremi fra quelle degli Ioni sotto dominio persiano disertarono e si aggiunsero alla flotta dei loro connazionali, che in tal modo raggiunse le 380 triremi. Sempre Erodoto riporta che a Salamina le navi di Samo e degli Ioni combatterono con slancio contro gli altri greci, al punto da meritare l’elogio dello stesso monarca. Anche la principessa Artemisia, che governava la città che diede i natali ad Erodoto, meritò le lodi del sovrano achemenide per la determinazione con la quale affrontò i nemici dei Persiani. La seconda categoria era costituita da quelle città, o da quei popoli come i Macedoni che già a partire dalla prima guerra persiana, quella iniziata e finita a Maratona nel 490 a.C., avevano accettato la richiesta degli inviati del Gran Re, richiesta poi reiterata dal figlio Serse, di concedere “terra ed acqua” all’imperatore achemenide, cioè di riconoscere la sua sovranità, con ciò che ne conseguiva. Una terza categoria era costituita dalle città che non erano in grado di opporsi allo sterminato esercito di Serse che, calando dal Nord-Est cioè dalla Tracia, invase la Grecia. Queste città per non essere distrutte si arresero al sovrano achemenide: “Quanto più infatti il re avanzava nel cuore della Grecia, tanto più numerosi erano i popoli che lo seguivano” (Erodoto, VIII,66). Un terzo gruppo di città greche si schierò apertamente dalla parte dei Persiani, ancor prima che iniziasse lo scontro sul campo. Il capofila dello schieramento filo-persiano fu Tebe e quasi tutti gli abitanti della Beozia, la regione di Tebe, soprattutto per l’ostilità che nutrivano nei confronti di Atene. Uniche eccezioni, ricorda Erodoto, i Platesi che avevano combattuto, i soli fra i Greci, al fianco degli Ateniesi a Platea, e i Tespiesi, come ricorda Erodoto nel passo più sopra citato. Serse punì severamente alcune centinaia di volontari tebani che combatterono alle Termopili, accusandoli di tradimento, perché Tebe era una città alleata dei Persiani. A Platea, secondo lo storico di Alicarnasso, combatterono centosessantamila greci, ma cinquantamila nell’esercito di Serse. A Platea contrapposti agli Ateniesi guidati da Aristide c’erano Tebani e Macedoni. Quando nell’agosto del 335 a.C. Alessandro distrusse Tebe, accusata di tradimento, riducendola ad un cumulo di rovine, con un’unica eccezione, la casa del poeta Pindaro, fra le colpe “storiche” della città di Ercole ed Edipo fu ricordato il suo atteggiamento filo-persiano, dimenticando che i Macedoni ne avevano avuto uno simile. Sta di fatto, come ricorda Erodoto alla fine delle sue Storie, che dopo la vittoria a Platea e a Micale si discusse della possibilità di trasferire i Greci della Ionia, dell’Asia Minore, in Grecia e trasferire lì quanti si erano schierati al fianco dei Persiani. Le guerre persiane furono per un verso guerre di resistenza dei Greci contro i Persiani, ma per un altro furono l’occasione che fece esplodere tante rivalità interne che ebbero la meglio sulla stessa possibilità di perdere l’indipendenza e divenire una satrapia dell’impero persiano.
Eschilo, I Persiani. Europa ed Asia, due sorelle. “Il suo valore può testimoniarlo la pianura di Maratona e il Medo dalla lunga chioma”, sono versi che si trovano sulla tomba di Eschilo e sembra che lui stesso li coniò. Eschilo combattette a Maratona, ma pure a Salamina e Platea, ricorda Pausania, però volle essere ricordato soprattutto per il primo evento. Eschilo fu l’autore della più antica tragedia che ci è rimasta, I Persiani, che è allo stesso un testo letterario e un resoconto storico, la cronaca di questa battaglia combattuta nell’estate del 480 a.C. a pochi chilometri da Atene, nella baia di Salamina.
La tragedia che racconta la più celebre battaglia navale dell’antica Grecia, fu allestita grazie al contributo di un giovane Pericle e fu scritta da un poeta-storico che fu allo stesso tempo un combattente, uno degli ateniesi che dietro “il muro di legno”, le duecento triremi di Atene, rappresentò l’estrema difesa della capitale dell’Attica contro i Persiani. Nella tragedia di Eschilo abbiamo la rappresentazione di un evento, la battaglia di Salamina, che viene descritto come lo scontro fra un grande impero una realtà relativamente circoscritta, la Grecia. Una realtà piccola, ma coesa ed omogenea, come ad esempio emerge chiaramente quando le due flotte si affrontano. Al grido di battaglia dei greci, che è allo stesso tempo un’invocazione a Zeus liberatore, risponde il confuso grido dei marinai della flotta imperiale che sono delle nazioni più diverse. Allo stesso tempo, però, nella tragedia di Eschilo, assieme alle distanze fra i due schieramenti e i due popoli abbiamo anche un riconoscimento della sostanziale vicinanza fra Persiani e Greci. I Persiani vengono ritenuti discendenti da un figlio di Perseo e Andromeda, origine mitica di cui parla anche Erodoto (VII, 35-37). Più avanti, in un celebre passo noto come “Il sogno di Atossa”, la moglie di Dario e la madre di Serse. Persiani e Greci sono rappresentati come “due sorelle nate dagli stessi genitori. Ma ad una era toccata in sorte l’eredità della terra greca, all’altra quella dei barbari”. Sono diverse fra di loro, secondo la classica rappresentazione diffusa nel mondo greco: l’indole dei Greci è quella tipica di un popolo libero, restio ad essere aggiogato, a sopportare la morsa. È un’indole ribelle, di chi non accetta padroni. L’altra sorella, l’Asia, invece considera naturale essere asservita, naturale obbedire, naturale avere un padrone. Ma sono “due sorelle nate dagli stessi genitori”, hanno lo stesso sangue nelle vene, appartengono ad una stessa stirpe. Ancora una volta, le guerre Persiane sono descritte come una Stasis, una lotta fratricida, o meglio fra due sorelle che parlano lingue diverse e vestono in modo dissimile, ma hanno gli stessi genitori.
Ippocrate, Sulle arie, le acque e i luoghi. La libertà politica si impone sulla natura. Il trattato attribuito ad Ippocrate apparentemente si presenta come un testo di geografia, che si occupa di climi e territori, in realtà è uno studio assai più complesso, che analizza il rapporto tra i luoghi dove gli individui vivono e i loro caratteri, le loro attitudini e la loro psicologia; è pure un trattato di medicina e antropologia che stabilisce una relazione fra ambiente, malattie e forma fisica. Infine, lo potremmo definire anche come un testo di antropologia politica, in quanto individua un nesso fra istituzioni politiche ed attitudini comportamentali. I “luoghi” del testo ippocratico sono quelli che per un greco del quinto secolo avanti Cristo rappresentano il centro del mondo, il punto d’incontro e il confine fra Europa (Grecia) e Asia (medio-Oriente), terre bagnate da quel mare Egeo dove si erano infranti prima a Salamina (480 a.C) e dieci anni dopo, all’Euridemonte, tutti i progetti di conquista persiani. La costa della penisola anatolica, le città a ridosso della costa come Kos, la patria dell’asclepiade Ippocrate, o le città sulla costa come Alicarnasso (la Bodrum attuale), patria di Erodoto, tanto dal punto di vista politico che come ambiente culturale, condivisero due identità distinte, ma non troppo lontane: quella del mondo greco, ma pure quella dell’Oriente persiano. Basti ricordare che tanto Kos che Alicarnasso combatterono a Salamina nello schieramento persiano, in quanto parti dell’impero del Gran Re, per poi riacquistare l’indipendenza tutelata dalla lega Delio-attica. In questa terra di confine tra grandi civiltà, come la greca, la lidia, la fenicia, la persiana e la babilonese, si svilupparono le scienze e la filosofia, nacquero personaggi come Talete, Erodoto e Ippocrate, per citarne alcuni, che sono all’origine della filosofia, della storiografia e della medicina. Tra le varie tesi che Ippocrate sostiene in questo testo, quella che appare più interessante e vicina al tema delle caratterizzazioni e delle differenze fra mondo greco/europeo/occidentale ed emisfero persiano/asiatico/orientale è quella esposta a proposito della relazione esistente fra tipo d’uomo e tipo di ambiente. “Tutto in Asia è più bello e più grande-scrive Ippocrate- il paese è più civile e gli uomini hanno caratteri e costumi più miti e mansueti”; anche gli uomini “sono ben nutriti, bellissimi di aspetto, altissimi di statura”, allo stesso tempo, però “il valore, la resistenza alla fatica e l’operosità […] direi che in tale natura non si possono trovare”. In Europa, invece, le differenze di clima e di territorio e i mutamenti che ne derivano “tengono sveglia la mente e non le permettono di restare inattiva” In altre parole, è la relazione fra uomo ed ambiente che genera il carattere e le difficoltà ambientali spingono l’uomo a reagire: “ La costante uniformità implica indolenza, mentre il mutamento implica sforzi, per il corpo e per l’anima; dalla tranquillità e dall’indolenza riceve impulso la viltà, dalla fatica e dai travagli nascono gli atti di valore”. Ippocrate, però, sostiene che “gli asiatici sono imbelli anche a causa delle istituzioni politiche”, che essendo sudditi di un re-padrone, combattono malvolentieri, perché se vincono sono i loro padroni a godere della vittoria, mentre se sono sconfitti sono loro a morire. Al contrario gli uomini liberi, combattono per se stessi e se vincono in prima persona godono dei risultati della vittoria. In altri termini, “le istituzioni politiche influiscono sul valore in misura non trascurabile”. Le conclusioni, in qualche modo ribaltano le premesse: “quanti in Asia, Greci o Barbari, non dipendono da un padrone, sono liberi e faticano a proprio vantaggio, ebbene costoro sono i più bellicosi fra tutti”. Ippocrate sostiene il primato della cultura e della libertà politica sulle condizioni ambientali: libere istituzioni possono creare individui caratterialmente simili a prescindere dai luoghi di provenienza.
Virgilio, Eneide. Enea eroe troiano, greco e mediterraneo. Esiodo, Omero e Pausania sono le principali fonti greche, mentre Virgilio, il poeta di Augusto, è la più importante fonte latina che ci parla di Enea, l’eroe troiano, il “pio”, secondo solo ad Ettore. Enea figlio di Anchise ed Afrodite, sposo di Creusa, figlia di Priamo, amante della fenicia Didone, poi marito della latina Lavinia. Ultimo dei Troiani, primo dei Romani. Perché Cesare Augusto, perché i Romani dell’età imperiale avvertirono l’esigenza di un mito fondatore che, attraverso Enea, li legasse a Troia, ad un’antica capitale dell’Asia? Si potrebbe tentare una sintesi estrema della risposta in questi termini: rivendicando come capostipite Enea, principe troiano, i Romani vollero allontanarsi dalla storia e dalla politica della Grecia, ma allo stesso tempo richiamare i legami ancestrali, mitici e culturali con l’ellenismo. Troia, infatti, come centinaia di altre città dell’Asia Minore è al contempo una città asiatica e greca e gli stessi troiani potremmo definirli, in accordo con gran parte della critica storica ed archeologica, Greci d’Asia, secondo una serie di argomenti che riprendo nel mio libro Il mito della Civiltà occidentale. Enea è un principe di cultura greca, un greco dell’Asia che “ritorna” secondo Virgilio all’antica terra da cui erano partiti i mitici fondatori di Troia, ma nel suo peregrinare per mare si ferma in una Cartagine ancora in costruzione e si innamora della bellissima Didone, regina fenicia esule da una città definita “la regina dei mari”. Sono gli déi, è la “missione” fatale di Enea a impedire l’unione fra Enea e Didone, a impedire la fusione fra Troiani e Cartaginesi, a trasformare la passione in tragedia. Enea e Didone sono legati dal linguaggio dell’amore e dai vincoli della passione, ma pure da legami culturali ed esistenziali. Le stesse divinità influenzano le loro vicende e gli stessi poeti cantano le loro vite: sono personaggi di un Mediterraneo che è troiano, greco, fenicio e romano.