Armeni-Ariani: un libro utile per comprendere il razzismo antisemita in Germania e in Italia

Armeni Ariani è uno studio sul dibattito che in Germania e in Italia si sviluppò quando negli anni Trenta del ventesimo secolo furono promulgate le leggi razziali, quando bisognava chiarire se gli Armeni appartenessero o meno alla presunta razza ariana, con tutte le conseguenze che ne sarebbero potute derivare.
Le leggi in questione furono presentate come “leggi razziali in difesa della razza”, in realtà furono ” leggi razziste ” tese ad individuare prima e a discriminare poi quanti vivevano in modo stabile in Germania ed in Italia, ma non appartenevano alla presunta “razza ariana”. Tali leggi “in difesa della razza ariana” furono essenzialmente leggi contro i semiti, considerati tra i popoli di razza bianca i più lontani ed ostili alla presunta razza ariana o indoeuropea.
Tra i popoli semiti che, tra l’altro, non rappresentano una razza ma tutt’al più una famiglia linguistica, furono soprattutto gli ebrei ad essere discriminati prima e perseguitati poi. Gli arabi, che pure appartenevano ai popoli semiti, non solo non subirono discriminazioni, ma nel contesto medio-orientale furono considerati come potenziali alleati in chiave anti inglese, soprattutto in Palestina.
Gli ebrei furono le principali vittime del razzismo dei nazisti e dei loro alleati fascisti. Le vittime principali, ma non le sole. Nei campi di concentramento nazisti troviamo varie tipologie di detenuti: dai Testimoni di Geova ai criminali comuni, dagli “antisociali” agli omosessuali, dai Rom agli ebrei.
Per motivi razziali, però, furono perseguitati solo gli ebrei e per certi versi gli zingari. Questi ultimi furono classificati in modi molteplici ed ambigui: con il criterio dell’ordine pubblico furono spesso considerati “asociali” e perseguitati; secondo il criterio razziale gli “zingari puri” furono esentati da persecuzioni e sterilizzazione, come pure i Mischlinge [meticci] “buoni”, mentre I Mischlinge “asociali” furono perseguitati, sterilizzati, ma pure eliminati fisicamente, in centinaia di migliaia.
A proposito dei Rom, alcuni studiosi hanno parlato di genocidio, altri come Guenter Levy solo di persecuzione. Ricordo che nel dicembre del 2006, venne a Cassino Simone Veil che io invitai su richiesta del compianto amico Franco Salerno, per ricevere la Laurea honoris causa in Giurisprudenza. Dopo la cerimonia andammo a pranzo: eravamo seduti di fronte e conversando, tra l’altro, le dissi: ” Ho appena finito di leggere il libro di Levy su La persecuzione nazista degli zingari. L’autore sostiene che non si può parlare di genocidio”. Ricordo che Madame Veil, continuando a mangiare e senza alzare gli occhi dal piatto, disse: ‘”Ad Auschwitz erano alloggiati nel padiglione di fronte al nostro”.
Le leggi razziali tanto in Germania che in Italia dividevano la popolazione in due differenti categorie: gli Ariani e i non Ariani. Molti cittadini tedeschi di religione ebraica, che vivevano in Germania da generazioni, furono discriminati e nel migliore dei casi espulsi. Essere classificati non Ariani comportava di fatto la perdita della cittadinanza, la perdita del lavoro in tutti gli ambiti pubblici: dall’esercito ai ministeri, dalla scuola alle banche, ma pure la perdita del diritto di esercitare una numerosa serie di professioni e svolgere attività private in molteplici ambiti. La suddivisione fra ariani e non ariani era più importante di quella fra cittadini e non cittadini: la cittadinanza dipendeva dalla presunta appartenenza razziale, non viceversa.
I non Ariani che allo stesso tempo erano anche non cittadini, avrebbero perso il diritto di risiedere tanto in Germania che in Italia. Al cittadino ariano era vietato persino di avere una relazione affettiva e sessuale con un non ariano, a prescindere dal fatto che fosse o meno cittadino.
Questa serie di discriminazioni, preclusioni e divieti, si acuirono in modo particolare nei confronti di un segmento della popolazione considerato di razza semita, gli ebrei. Di fatto la campagna discriminatoria e persecutoria nei confronti dei non Ariani, tanto in Germania che in Italia, fu rivolta essenzialmente contro gli ebrei, presentati dalla stampa di regime in modo minaccioso e allo stesso tempo caricaturale, con folte sopracciglia e nasi adunchi. Le poche migliaia di Armeni che vivevano in Italia e le poche centinaia che vivevano in Germania, in seguito alle leggi razziali si trovarono sub-iudice, a dover dimostrare la loro appartenenza alla razza ariana e la non compatibilità fra armeni ed ebrei semiti, ai quali più di un teorico della razza li aveva assimilati, facendo riferimento alla condizione diasporica e alle attività di commercianti e banchieri che molti Armeni esercitavano in nazioni europee.
La definizione di ariano usata dai razzisti rinviava a caratteristiche assai fumose, soprattutto quando si trattava di fare distinzioni fra persone di razza bianca. I nazi-fascisti sostennero che l’appartenenza razziale era documentabile sul piano strettamente biologico, ma quando dovettero definire il criterio determinante per stabilire la natura dell’ebreo, non riuscirono a far di meglio che a rinviare alla appartenenza religiosa, elemento che ha poco o nulla di biologico.
Prima in Italia, poi in Germania si sviluppò un dibattito sulla appartenenza razziale degli Armeni, dibattito circoscritto e limitato a un esiguo numero di interventi. Ci furono una serie di interventi di intellettuali e politici vicini ai due regimi che per motivi diversi conoscevano e simpatizzavano per la cultura e le vicende degli armeni. Ci furono una serie di interventi sotto tono e sotto traccia che non raggiunsero mai il grosso pubblico, i media e la stampa dei due regimi. Per un verso le nuove leggi razziali ponevano l’esigenza di produrre documenti ed argomenti che avrebbero potuto attestare l’appartenenza degli armeni ai popoli ariani, o presunti tali. Le autorità politiche, infatti, avrebbero dovuto decidere sulla questione dell’arianità degli armeni. Per un altro verso, però, si voleva evitare di sollevare un dibattito pubblico, anche perché le voci contrarie agli armeni erano isolate e non avevano sviluppato un’analisi approfondita di segno razzista come era avvenuta nei confronti degli ebrei.
In Germania la pubblicazione più importante in difesa della presunta arianità degli armeni fu Armeniertum-Ariertum, che raccoglieva una serie di contributi diversi, tutti finalizzati a sostenere il giudizio espresso nel titolo del libro. Tale testo fu poi tradotto in italiano con il titolo Armeni-Ariani.
Siamo giunti alla questione centrale, quella che ci dovrebbe aiutare a capire meglio i presupposti e i postulati del fenomeno razzista, a valutare con quali criteri furono determinate le coordinate della “razza armena” e in che modo furono applicati agli armeni i confusi principi del razzismo nazista e poi fascista. Tanto in Italia che in Germania gli armeni furono considerati come un popolo ariano, a partire dalla appartenenza della lingua armena a quella dei popoli indoeuropei, ma pure con altre valutazioni che nei due paesi erano sostanzialmente diverse.
In Italia, ad esempio, furono determinanti due argomenti, il primo di tipo religioso, il secondo di politica internazionale. Ebbe un rilievo la circostanza che gli Armeni fossero stati il primo popolo della storia ad aver adottato il Cristianesimo come religione dello stato e della nazione e di essere rimasti, nel corso dei secoli, fedeli a questa scelta, spesso tra difficoltà estreme. Un secondo evento positivamente considerato fu il ruolo avuto dagli armeni nel primo conflitto mondiale. Seppure fossero sudditi della Sublime Porta, per una serie di motivi diversi, de facto furono considerati alleati della Triplice Intesa e quindi dell’Italia.
In Italia si diede grande risalto ai massacri degli Armeni nel corso della prima guerra mondiale, eccidi avvenuti all’interno dell’Impero ottomano e che coinvolsero la responsabilità dell’esercito turco, ma pure di alcune decina di migliaia di tedeschi presenti in Turchia, con scopi di coordinamento ed addestramento militare.
Una delle definizioni che gli Armeni amavano dare di se stessi era quella di “Europei del Medio-Oriente”: un popolo cristiano, vicino per cultura e religione all’Europa e da sempre in contrasto con i Turchi, asiatici e musulmani. Gli armeni potevano rivendicare il fatto che nel corso della storia si erano spesso schierati al fianco di nazioni europee e cristiane contro i loro vicini persiani di religione mazdea o arabi prima e turchi poi di fede musulmana. Gli Armeni, ad esempio, avevano sostenuto apertamente le crociate promosse da sovrani cristiani ed europei.
Quelli che in Italia erano argomenti importanti a favore degli Armeni, in Germania spesso furono considerati in modo diverso. La fede cristiana degli armeni aveva un valore relativo, perché il nazional-socialismo era sostanzialmente anti-cristiano e lo stesso razzismo era una dottrina anti-cristiana che anteponeva la natura razziale di un popolo, o presunta tale, alle scelte di quel popolo in materia religiosa. Era anche presente nelle fila del partito nazista, una forte componente anti-cristiana e pagana, soprattutto nei corpi d’élite come le SS, che negli anni raggiunsero milioni di aderenti.
L’altra questione, quella dell’atteggiamento filo occidentale ed anti turco degli armeni durante la prima guerra mondiale, mostra ancor meglio la diversa attitudine dei tedeschi nei loro confronti. Nella Grande Guerra, l’Impero ottomano era stato il più importante alleato della Germania e dell’Impero austro-ungarico e di conseguenza gli armeni in quanto nemici della Turchia erano stati di fatto nemici della Germania.
I motivi per cui in Germania fu riconosciuta la arianità degli armeni poco ebbero a che vedere con la religione degli armeni, ancor meno con le loro posizioni nel quadro della politica internazionale, senza considerare che le scelte di un popolo nel quadro della politica internazionale nulla avrebbe dovuto avere a che vedere con la sua identità razziale.
I motivi per cui in Germania agli armeni residenti fu concessa la patente di arianità furono essenzialmente due: per un verso non esisteva un problema degli armeni residenti nello stato nazista. Si trattava di poche centinaia di persone in buona parte studenti o comunque residenti in via provvisoria. Per un altro verso, non si voleva sollevare un caso a livello internazionale, con ripercussioni in paesi come la Francia e gli USA , dove erano presenti numerose ed influenti comunità armene. In breve, per valutare la presunta razza degli armeni, in Germania ed in Italia furono usati criteri diversi che, fra l’altro, poco o nulla avevano a che fare con i presunti parametri scientifici e biologici a cui il razzismo si richiamava.
Anche nel caso degli armeni, le teorie razziste mostrano la loro contraddittorietà ed inconsistenza, la mancanza di presupposti coerenti e in grado di essere utilizzati in diversi contesti, l’inesistenza di principi scientifici e di un metodo altrettanto scientifico da tutti utilizzabile e da tutti verificabile. Così come avvenne nel caso degli ebrei, seppure con valutazioni diverse, per definire la razza degli armeni furono importanti la loro religione e la loro collocazione politica in campo internazionale.

Indice e Abstract

Al lettore
Introduzione Coordinate di riferimento e metodo della presente ricerca
1.1        Etnocentrismo, razzismo, antisemitismo
1.2        Razze padrone e razze serve
1.3        L’ariano e il semita
1.4        Gli Armeni in Italia all’inizio del Novecento
1.5        Armeni – Semiti
1.6        Sui presunti caratteri “semitici” degli Armeni
1.7        Armeni Ariani
1.8        Considerazioni di sintesi
Indice

Abstract

Negli anni Trenta furono promulgate, prima in Germania (1935) e poi in Italia (1938), una serie di leggi in “difesa della razza”. Partendo dall’ipotesi di un’originaria lingua indoeuropea, s’immaginava un altrettanto ancestrale popolo ariano con caratteristiche psico-fisiche ed una visone del mondo tipici di una razza guerriera fondata su valori come il senso dell’onore, l’amore del rischio, la voglia di affermarsi e il rispetto della gerarchia; valori e stili di vita che ne avrebbero legittimato il primato. Tale popolo si sarebbe poi diviso in varie etnie, che ne conservavano i caratteri originari presenti in gran parte dei popoli europei. Negli anni Trenta dello scorso secolo, partendo da questi fragili presupposti, attraverso una serie di pseudo-scienze, come la frenologia e la fisiognomica ed altrettante mal definite “dottrine della razza”, si stabilirono criteri di appartenenza o di esclusione alla “razza ariana” e, di contro, alle razze semite e non arie, tesi che costituirono le premesse ideologiche per la discriminazione, la segregazione e la persecuzione di interi popoli e comunità, come gli ebrei e i rom. Nello studio si ricostruisce questo complesso quadro in riferimento alle vicende della comunità armena in Italia e in Europa, esponendo ed analizzando i vari argomenti che furono presentati a favore e contro il carattere ariano del popolo armeno ed il contesto storico in cui questo dibattito si svolse.

 

Il razzismo dell’uomo bianco

“Che cos’è razzismo?”, a questa domanda è relativamente semplice rispondere: il razzismo è la teoria secondo la quale gli esseri umani appartengono a razze diverse. Se però ci chiedessero cosa è una razza la risposta sarebbe meno scontata, per motivi diversi: le razze non esistono, è difficile pertanto definire qualcosa che non è reale. I razzisti però sostengono che le razze sono espressioni della molteplicità dei caratteri umani, della diversità dei tipi d’uomo esistenti. Ma in che cosa consiste questa diversità, in altre parole quali sono i criteri per classificare e distinguere le varie razze? Per molti razzisti è evidente che ci sono almeno tre razze principali, in relazione al colore della pelle e ad altre caratteristiche fisiche come il colore degli occhi o il tipo di capelli: la bianca, la nera e la “gialla”.
Ogni classificazione di tipo razziale è sempre valutativa e selettiva, stabilisce una scala gerarchica, a partire da criteri diversi, che però rinviano sempre a una gerarchia di valori, con il ricorso in prima istanza ai criteri estetici. Tali valori giustificano il primato di alcune razze e la subalternità di altre razze. In base a questa prima e sommaria classificazione si è giustificato il colonialismo delle “grandi nazioni di razza bianca” sui popoli africani in prima istanza, ma pure sui popoli degli altri continenti: dall’Asia all’Australia, dalle Americhe alla Nuova Zelanda. L’opera di conquista e asservimento di interi popoli è stata presentata spesso come una “missione civilizzatrice”, come il diritto/dovere di portare a questi popoli la civiltà dell’uomo bianco. Il colonialismo è stato presentato come un’opera di civilizzazione finalizzata al miglioramento ed al progresso della umanità. Se queste fossero state le vere intenzioni delle “grandi nazioni di razza bianca” ,queste ultime avrebbero dovuto cercare innanzitutto di “civilizzare” i popoli più poveri ed arretrati dal punto di vista tecnologico e scientifico. In realtà i colonizzatori hanno preferito “civilizzare” le nazioni con le maggiori risorse. Realtà che per collocazione geo-politica erano più funzionali agli interessi europei , con una vera e propria “corsa alle colonie” che vide coinvolte gran parte delle nazioni europee, a partire dalla scoperta/conquista delle Americhe e fino agli anni 60 dello scorso secolo.

“The Pigmy Earthmen at the royal Acquarium” with Farini, Londres 1884
I presunti intenti civilizzatori delle nazioni europee, per le quali il colonialismo era spesso funzionale alla creazione di un impero, è smentita anche dal fatto che nessuna nazione colonizzata ha raggiunto un progresso reale acquisendo uno sviluppo tecnologico, industriale, scientifico ed economico. Sta di fatto che il continente più colonizzato, l’Africa, in particolare quella sud-Sahariana, è ancora oggi la parte più povera del globo.
L’inconsistenza e il carattere puramente retorico del progetto civilizzatore dell’uomo bianco nei confronti dei popoli africani, ancora una volta è smentito da altre evidenze. I bianchi, europei e di origine europea, hanno convissuto per secoli con i neri in contesti coloniali come l’Africa e il Medio Oriente, in contesti post coloniali come il Sud Africa del XX secolo, o negli USA dei neri africani deportati e schiavizzati. In questi contesti la retorica della integrazione-civilizzazione del “primitivo” si è coniugata e/o ha lasciato il posto alla politica ed alla prassi sociale dell’apartheid cioè della separazione/esclusione dei non bianchi, delle persone “di colore”, in breve dei neri.
Il principale argomento usato a sostegno dell’apartheid è stato la sostanziale differenza/incompatibilità tra uomo bianco di origine europea e uomo nero di origine africana. Non ci si riferisce, però, a una non convergenza fra due realtà poste sullo stesso piano, in relazione simmetrica, ma a due realtà considerate ineguali e poste su un piano verticale e gerarchico: da una parte l’uomo bianco che rappresenterebbe un modello estetico/culturale/morale/psicologico e funzionale di tipo superiore e dall’altro l’uomo africano presentato come espressione di una sub-umanità. La presunta estraneità e subalternità del nero all’uomo bianco, che Tocqueville definisce ne La democrazia in America “l’uomo per eccellenza”, è stata anche usata per giustificare il suo asservimento. Il dominio su un essere subalterno per condizione naturale non apparirebbe un sopruso, ma una naturale esigenza, utile persino all’asservito. È una riedizione e volgarizzazione del vecchio argomento aristotelico che fonda il “naturale” primato dell’uomo sulla donna e del greco sul barbaro, in quanto primato della (presunta) razionalità dell’uomo greco sulla (presunta) debole razionalità della donna e del non-greco.
A partire da queste differenze che il razzismo definisce come naturali e, pertanto, non superabili, differenze che fondano una gerarchia di valori, si è giustificata la discriminazione e la separazione, cioè l’apartheid, poiché l’unione tra un modello superiore di uomo, cultura, morale, ecc. ed uno assai meno elevato porterebbe a minare e compromettere il primo, in altri termini ad un “imbastardimento della razza”.
Per questo, in tutti i contesti coloniali e nei quali vigeva una legislazione di tipo razzista, erano vietate le relazioni sessuali e le unioni matrimoniali tra persone di “razze” diverse. L’apartheid e la discriminazione adottate nelle colonie con una serie di leggi che vietavano relazioni personali e di altro tipo fra colonizzatori e colonizzati, furono prese come modello di riferimento nelle legislazioni razziste degli anni Trenta del Novecento in Europa: la separazione e la discriminazione furono le premesse per la persecuzione e poi lo sterminio.

 

 

La razza degli Ariani

L’idea che ci siano almeno tre razze, la bianca, la nera e la “gialla”, si lega alla convinzione del primato dell’uomo bianco, che fonda la sua rivendicazione al governo del mondo. Pertanto non sarebbe esagerato affermare che alla base del razzismo c’è la convinzione che in senso proprio esista un solo tipo di uomo e di razza, l’europeo di razza bianca. Il non far parte di questa categoria equivale per il razzista a non essere un uomo in senso pieno, equivale ad appartenere ad una razza con conseguenti deficit tanto sul piano fisico che su quello intellettuale.
Questo tipo di razzismo è servito soprattutto a giustificare il colonialismo, l’imperialismo, la deportazione su larga scala di popoli africani ridotti alla condizione di schiavi e, a partire dal XVIII secolo, si combina con altre forme di razzismo. Seppure si riconosca come un’evidenza la ricordata classica tripartizione, nel razzismo moderno si operano ulteriori distinzioni e selezioni.

Berlin 1939, celebration of the Summer solstice
Arthur de Gobineau, ad esempio, nel suo celebre Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane (1853-1855), sostiene accanto alla tripartizione razziale che risaliva a C. Linneo nel 1735, un nuovo tipo razziale, quello ariano, posto ai vertici della razza bianca, e considerava i tedeschi come la migliore espressione di questa presunta razza. Questa tesi è ripresa da Huston Chamberlain, in Die Grundlagen des Neunzehnten Jarhunderts (I fondamenti del XXesimo secolo), considerato un manifesto del nazionalsocialismo tedesco.
Un francese, un inglese e un lettone sono alla base del razzismo del nazionalsocialismo, costruito sulla figura dell’ariano e poi ripreso per molti aspetti dal fascismo italiano. Alla base di questa dottrina [termine ambiguo di origine latina che rinvia alla conoscenza, ma pure alla scelta personale] c’è un solo elemento oggettivamente comprovato: l’esistenza in molte lingue europee di lemmi, desinenze e forme verbali simili. Questa prima scoperta, risalente al XVI secolo (Filippo Sassetti), diede lo spunto nel XIX secolo ad una serie di linguisti per approfondire tali somiglianze ed estendere il campo di quella che fu definita una “famiglia linguistica”. Da alcuni linguisti come Friedrich Schlegel si sostenne che tali concordanze esistenti tra varie lingue europee non si potevano spiegare se non con il fatto che discendevano tutte da una lingua madre “comune”. In tal modo si operava un vero salto epistemologico e metalogico, si creava dal nulla una nuova lingua, senza fornire alcuna prova, alcun riscontro, alcuna testimonianza della sua esistenza. Non esiste alcun documento su papiro, su pergamena, alcuna incisione su pietra o iscrizione funeraria che sia riconducibile a tale lingua. Ma di che lingua parliamo, sappiamo almeno il suo nome? La risposta è negativa e la mancanza di questi elementari riscontri è spiegata con l’argomento che tale lingua era parlata da un popolo che non conosceva la scrittura.
Una volta stabilita, seppure del tutto arbitrariamente, l’esistenza di una proto lingua madre delle lingue europee, si sostenne con un ulteriore salto meta-logico che sarebbe dovuto esistere un popolo che la parlava. Ma su questo presunto popolo non si avevano maggiori notizie di quelle disponibili sulla sua lingua. La sua esistenza non è documentata né in via diretta, né da testimonianze di altri popoli dell’antichità, con riferimenti, ad esempio, a relazioni diplomatiche, commerciali o a guerre con questi popoli che, in epoca moderna, sono stati chiamati Arii, o Ariani. Questo termine, però, in alcune lingue come il persiano dell’impero achemenide è usato come sinonimo di nobile, di ben nato, non per rinviare a progenitori più o meno mitici.
Ma una volta che si era costruita dal nulla una lingua originaria di un misterioso popolo che l’avrebbe parlata, senza però essere in grado di scriverla, si doveva completare il quadro e portare a compimento la fallace catena dei sillogismi. Il popolo degli Arii che avrebbe parlato questa lingua archetipa avrebbe dovuto avere una patria, un luogo di origine, ovviamente: una patria con città, strade, luoghi fortificati, manufatti, vasellame, armi… Niente è stato provato solo tante teorie, tante “dottrine”, tanti “miti” che attribuiscono a questo fantomatico popolo di Arii le origini più diverse: l’India del Nord, la valle del Danubio, la Groenlandia, la Germania del Nord, Atlantide, l’Europa del nord e via dicendo. Così come non si conosce nessuna scrittura, seppure di poche righe, attribuibile agli Arii così non si conosce nessuna costruzione, tanto privata che comunitaria attribuibile a queste fantomatiche genti.
Popolo senza lingua scritta, ma pure, secondo la teoria su esposta, senza città, quindi probabilmente un popolo nomade, errante, senza una dimora stabile sul modello di quei popoli come gli ebrei tanto vituperati dai razzisti tedeschi e non solo.
Seppure di questi Arii non si conoscessero né la lingua né le origini geografiche, i razzisti tedeschi ed italiani erano convinti che ad ondate successive fossero arrivati in Europa, anche se non erano in grado di dire quando, imponendosi prima alle popolazioni autoctone, poi fondendosi con loro. In tal modo in Europa si sarebbe creato un nuovo tipo umano l’indo-europeo, sintesi dei conquistatori e dei conquistati, e si sarebbero create anche una serie di nuove lingue indo-europee risultato della fusione fra popoli europei e conquistatori.
Anche di questa fantomatica invasione dell’Europa, della sua conquista, della fusione tra popoli diversi non è restata alcuna traccia e documentazione. Ciononostante, ancora oggi, da molti studiosi tale invasione viene considerata un evento sicuramente avvenuto e altrettanto certa la fusione di questo popolo di ariani con le popolazioni abitanti il continente europeo. La nuova realtà che ne sarebbe emersa sarebbe stata quella dei popoli indo-europei, definiti pure come ariani. Ma perché si parlava e si parla di “indo”-europei? Credo per due motivi principali. La prima e più diffusa teoria sulle origini di questi Arii identificava la loro terra d’origine nell’India del Nord e riteneva il Sanscrito la Ursprache, la probabile “lingua madre”. Ma ben presto gli studi di linguistica comparata, tra gli altri, mostrarono la insostenibilità di tale tesi.
A tale riscontro scientifico se ne collegava un altro di tipo ideologico che, seppure di minore importanza, aveva un suo peso nei contesti in cui le teorie razziste nel corso del XIX Secolo e del XX Secolo si andavano affermando, cioè nella Germania e nei movimenti nazionalisti e fascisti europei. Il tipo di uomo indiano non era compatibile con quello che nei contesti del razzismo europeo, a cavallo tra il XIX e XX Secolo veniva presentato come il prototipo dell’uomo ariano, cioè il tipo d’uomo più diffuso nell’Europa del Nord, con carnagione, capelli e occhi chiari.
Alcuni arrivarono a sostenere, che quelli arrivati in Europa dall’India in realtà erano popoli giunti in India come conquistatori, ovviamente dal Nord, perché per i razzisti, come scrive Evola il capofila rei razzisti del regime fascista, “ex Nord Lux” da settentrione viene la civiltà, il regno della luce.
Senza considerare che identificare gli Ariani come popoli arrivati nell’India del nord, da settentrione, avrebbe significato attribuire a tali conquistatori poi giunti in Europa, origini tibetane o cinesi, finendo ovviamente nel ridicolo.
Ma perché, allora, ancora oggi si parla comunemente di lingue, popoli, costumi, ecc, “indo-europei”, una volta che è certa la non origine indiana di tali presunti invasori? Che senso ha parlare di indo-europei se è comunemente noto che popolazioni indiane non hanno mai invaso l’Europa?
Una spiegazione plausibile, sta nel fatto che per un verso si era stabilito come prima ipotesi che gli ariani provenivano dall’India e pure quando si è riconosciuto che tale origine non era dimostrabile si è conservata questa presunta formulazione, evidente nel termine “indo europei”, anche perché non si aveva nessuna plausibile terra d’origine alternativa da proporre al posto dell’india. Si conservarono gli Ariani, seppure senza lingua scritta e senza una terra d’origine e si mantenne la teoria che erano arrivati in Europa, seppure non si sapeva e non si sa dire da dove venissero. Per spiegare alcune somiglianze nelle lingue di popoli che vivevano attorno al Mediterraneo e nello stesso contesto continentale, si ricorse prima alla teoria della lingua madre di un popolo che era venuto con mezzi rudimentali da settemila km di distanza (6269 km è la distanza fra Nuova Deli e Madrid), poi si sono diffuse varie teorie ed alternative, come quella secondo cui gli Arii erano originari della valle del Danubio. Ma se così fosse stato, dovrebbero accettare l’idea di popoli europei che si spostavano all’interno dell’Europa per assoggettare altri popoli. In questo caso si tratterebbe di una vicenda di conquista intra-europea, che però lascerebbe aperte tutte le questioni a cui si accennava in riferimento alla prospettiva indo-europea: identificazione della lingua madre, del popolo originario, del suo territorio di provenienza, di tracce delle sue abitazioni, delle sue armi, dei suoi manufatti, dei suoi luoghi di culto e dei suoi sepolcri, oltre che dalle tracce delle sue conquiste continentali. Tutti elementi che non esistono. Attraverso una catena di sillogismi fallaci, a partire da alcune comunanze linguistiche tra popoli europei, si è creata una nuova lingua di cui non c’è traccia, un popolo senza origine e patria, una conquista continentale mai documentata. Su queste fragili basi si è creata una teoria razzista in Germania e in Italia, che aveva il suo centro nella figura dell’Ario di cui i razzisti davano pure una precisa connotazione fisica e psicologica. La non conformità-compatibilità con questo fantomatico tipo d’uomo, l’”Ario”, la cui “difesa” fu posta come principale scopo delle leggi razziali dei nazisti e dei fascisti, fu motivo di discriminazione prima, di segregazione ed eliminazione fisica poi per i “non-Arii” come i Semiti, gli Ebrei.

Gli Armeni e le leggi razziali in Germania e in Italia

Il razzismo è fondato sulla convinzione che gli uomini non sono uguali, ma che si distinguono a seconda delle razze di appartenenza e che queste ultime hanno una dimensione biologica e naturale: nei tratti fisici ma anche nella sfera culturale e psichica degli individui.
I razzisti sono anche convinti non solo che le razze siano diverse ma che esista una gerarchia tra le varie razze, ad esempio nel “Manifesto della razza” (14 luglio 1938) elaborato dal Regime fascista si sostiene che esistono “Grandi Razze” e “Piccole Razze”, il che equivale a dire “Razze padrone” e “Razze subordinate”. Il razzismo è un’invenzione dell’uomo europeo; pertanto non è difficile immaginare che le varie dottrine della razza, elaborate in consessi e da pensatori europei, prospettino un modello di uomo simile ai tipi umani più diffusi in Europa.
Del resto la teoria razzista più diffusa nell’Europa a cavallo fra il XIX° e il XX° secolo, sosteneva l’esistenza nell’intero continente di popolazioni indo-europee, che pur nella diversità avevano tratti comuni a partire dalla lingua. Si parlava anche di specifici popoli indoeuropei, come gli “indo-germani” o di “razza italiana”, descritta anche come “razza latina”.
Fino agli anni Trenta dello scorso secolo, le differenti teorie razziste erano appunto “teorie”, diffuse soprattutto in ambienti nazionalistici e tra partiti e movimenti di estrema destra. Razzismo ed antisemitismo, ad esempio, facevano parte del programma del partito nazista ed avevano un posto di rilievo nel manifesto ideologico del nazional-socialismo il Mein Kampf di Adolf Hitler.
Negli anni Trenta, il razzismo da dottrina, teoria e “mito”, diviene legge dello stato, prima in Germania e poi in Italia e nella forma di antisemitismo anche in altri paesi europei come la Polonia. Le leggi razziste sono spessp ambiguamente presentate come leggi razziali o con la formula “Leggi in difesa della razza”. Anche nella Germania hitleriana le leggi razziste sono presentate come se avessero il fine di proteggere l’arianità, l’identità del popolo tedesco da contaminazioni e imbastardimenti che ne avrebbero compromesso la purezza, cioè alterato la natura.

Difendere le razze indoeuropee avrebbe equivalso a proteggere la loro identità biologica e culturale: l’unione fisica tra un Ariano è un non Ariano, al contrario, avrebbe prodotto un soggetto ibrido, un “meticcio”, un “mezzosangue”, un soggetto umano che avrebbe perso o alterato le caratteristiche tipiche della razza ariana. Pertanto le leggi razziste comportano come prima conseguenza l’apartheid, la separazione tra Ariani e non Ariani per evitare incontri e condivisioni pericolosi tanto sul piano fisico-biologico che culturale.
Ma, in Europa, da chi si sarebbe dovuto difendere il tipo di uomo ariano, cioè indo-europeo? Ovviamente dai non-ariani, da quanti avevano una lingua, tratti fisici, una cultura e una psicologia diverse da quelle proprie all’ariano europeo. Tutti i popoli non europei, come gli africani e gli asiatici, erano considerati non ariani. Ma uomo di razza bianca ed ariano non sempre erano considerati sinonimi. Gli ebrei, ad esempio, erano ritenuti di lingua e razza semita, cioè non ariani.
Le società delle nazioni europee dell’inizio dello scorso secolo erano società sostanzialmente omogenee, non erano società multiculturali e multietniche, in esse non c’era la presenza di consistenti comunità immigrate. In gran parte dei paesi europei c’era la significativa presenza di due sole tipologie di “stranieri”, cioè di comunità che non avevano le origini storiche in quei territori: Ebrei e Rom, un popolo diasporico e un popolo nomade. Condizione diasporica e esistenza nomadica erano, nella prospettiva razzista, già da sole due “colpe”: sinonimo di una condizione di “sradicamento”, di mancanza di legami, di trasformismo, di doppiezza, di identità malleabile e di un carattere opportunistico. Poco contava che questa stessa teoria si fondasse sul primato di un presunto popolo, gli indo-europei, che avrebbero avuto origine dalla fusione di un popolo nomadico-diasporico come gli Ariani e popoli stanziali, come gli Europei e che miti fondativi di Roma e dell’Impero romano, che i Fascisti avrebbero voluto emulare, erano costruiti su un fondatore mitico, il troiano Enea che arrivò nel Lazio nella condizione di profugo.
In Italia, in varie parti del territorio, al nord come al sud, vivevano a volte da secoli, piccole comunità di lingua ed etnia non italiana, come i Ladini, gli Occitani e gli Albanesi, che però erano profondamente integrati e considerati di lingua e razza ariane. Queste popolazioni non furono coinvolte dalle leggi “razziali”, che avevano come obiettivo principale la “difesa”della purezza razziale degli italiani. Il sistema di norme razziste, in Italia come in Germania, consisteva innanzitutto nell’individuare i “non ariani”, poi nel discriminarli cioè nel privarli dei diritti civili, ma pure di ogni possibilità di vita e sostentamento. Questo comportava di fatto la perdita della cittadinanza e della possibilità di lavorare nell’amministrazione pubblica ed in molti altri settori. L’obiettivo ultimo era costringere i non-ariani, in prima istanza i “semiti” ebrei, a lasciare l’Italia e la Germania.
Tanto in Germania che in Italia, pertanto, la questione dell’appartenenza o meno alla “razza ariana” di comunità residenti, ma non autoctone, non era questione puramente scolastica; aveva come diretta conseguenza la possibilità di vivere e lavorare in questi due paesi ed evitare una traumatica espulsione o, comunque, difficili condizioni di vita. Ancor peggio, e questo fu da molti “non ariani” chiaramente intuito, non essere stati riconosciuti di “razza ariana”, semmai con l’aggravante di essere considerati semiti, avrebbe da lì a poco significato avviare un processo di discriminazione, persecuzione ed eliminazione fisica. Nel volgere di qualche anno, essere considerati non ariani e, ancor peggio, semiti avrebbe significato avviare un percorso persecutorio che avrebbe portato in luoghi come Dachau e Auschwitz.
All’indomani della proclamazione delle leggi razziali, le due piccole comunità di armeni che vivevano in Germania, qualche centinaio, ed in Italia, alcune migliaia, si trovarono nella necessità di dimostrare che gli Armeni erano di “pura razza ariana”. In caso contrario, avrebbero rischiato la perdita della cittadinanza e di ogni diritto civile e sociale.
La situazione degli Armeni che vivevano in Germania era sostanzialmente diversa da quella degli Armeni che vivevano in Italia. Nel primo caso si trattava prevalentemente di studenti, o comunque di persone provvisoriamente residenti in Germania, per motivi di studio e di lavoro. Era diversa l’attitudine dei tedeschi verso gli Armeni all’indomani della prima guerra mondiale, che la Germania aveva combattuto a fianco dell’Impero Ottomano, con un diretto coinvolgimento delle operazioni militari dell’esercito della Sublime Porta. Durante la Grande Guerra, ufficiali tedeschi di alto grado erano presenti nello Stato Maggiore dell’esercito turco e migliaia di istruttori militari avevano svolto attività di addestramento e supporto dell’esercito turco. Per questo motivo, all’indomani della vittoria delle potenze della Triplice alleanza (Inghilterra, Francia ed Italia) i Tedeschi furono ritenuti complici dei Turchi nello sterminio di più di un milione di Armeni, di quello che è stato definito “Il primo genocidio del XXsimo secolo”. Quando, all’indomani delle leggi razziste, nella Germania nazista si trattò di stabilire l’identità razziale degli armeni, il Ministro degli Interni del Reich, con decreto del 3 luglio 1933 , decise “agli effetti del ristabilimento della burocrazia di carriera” che “gli armeni dovevano considerarsi ariani”. Il governo del Reich non voleva in alcun modo creare un caso internazionale, anche in considerazione della presenza in paesi come la Francia e gli Usa di diaspore armene numerose, organizzate ed influenti, che avrebbero potuto fare da cassa di risonanza al malcontento degli armeni che vivevano in Germania, nel caso di una loro espulsione se considerati non ariani, anche tenendo conto dell’ inconsistenza della presenza armena in Germania negli anni Trenta.
La situazione degli armeni in Italia, negli stessi anni era sostanzialmente diversa: una presenza di alcune migliaia di persone, diffusa in varie regioni, con importanti nuclei in Lombardia, nel Veneto e a Roma. Una presenza che almeno nei territori ricordati era vecchia di secoli , integrata e rispettata, come nel caso dei Mechitaristi dell’Isola di San Lazzaro. Anche in Italia, sulla scia del riconoscimento ottenuto in Germania, agli armeni fu confermata l’appartenenza alla razza ariana. In Italia, però, si svolse anche un dibattito, o meglio ci furono diversi intellettuali, dirigenti di spicco del Regime fascista o semplicemente personaggi influenti nella società italiana dell’epoca che presero posizione a favore dell’ “arianità” degli armeni, quindi della salvaguardia della piccola ma non insignificante diaspora che viveva nella penisola da secoli.
Questa piccola ma agguerrita ed influente “lobby” filo armena fu assai attiva nel promuovere una serie di iniziative editoriali , pubblicistiche e in senso lato di propaganda per evidenziare sul piano storico, linguistico, religioso, antropologico, della politica internazionale, ecc., una serie di elementi e di “prove” che avrebbero potuto deporre a favore della appartenenza degli armeni al ceppo delle presunte famiglie indoeuropee. Gli argomenti addotti, però, meritano di essere considerati a parte, in quanto mostrano da soli non tanto e non solo l’inconsistenza delle loro premesse e dei loro esiti, quanto la fragilità dell’ideologia razzista, a partire dalle sue premesse, che cioè esistono le razze e che sono individuabili chiaramente sul piano biologico. Tale dibattito mostra chiaramente che il razzismo è una costruzione ideologica che può essere, di volta in volta, riempita con i più diversi contenuti che non di rado si escludono a vicenda.

Considerazioni di sintesi (Da Armenians-Aryans, pp. 121-125)

L’analisi fin qui svolta ci ha permesso di evidenziare i noti limiti della visione razzista della vita e della storia, che si manifestano, ancora una volta, in tutta la loro superficialità e contraddittorietà se li riconsideriamo attraverso quella che in Germania ed in Italia, negli anni Trenta dello scorso secolo, fu la questione della natura razziale degli armeni. La questione, cioè, di definire se gli armeni appartenessero o meno alla presunta razza indo-europea, a partire dalle premesse del teorema razziale: l’esistenza di un popolo indoeuropeo, la cui realtà – caso unico nella storia – è stata postulata solo per via linguistica. Per giunta, si è posta “una lingua non attestata a fondamento di una famiglia linguistica” e si è ipotizzata l’esistenza di un popolo originario (Urvolk, in tedesco) non utilizzando una documentazione scritta o archeologica, ma attraverso “isolati brandelli di lingua”. Di supposizione in supposizione, si è risaliti ad una presunta regione originaria di questo popolo (Urheimat) collocata alle latitudini e longitudini più diverse: dalla steppa siberiana al polo nord, dell’Europa settentrionale all’Anatolia orientale, dall’India alla Germania.
Siamo in presenza di una teoria che rinvia a una presunta ed ancestrale lingua indoeuropea, di cui però non c’è rimasto neanche un testo unitario; teoria che immagina un presunto popolo che all’alba della storia avrebbe parlato questa lingua, popolo di cui niente sappiamo; teoria che afferma l’esistenza di una ipotetica patria in cui questo popolo avrebbe vissuto, patria di difficile identificazione che non sembra aver lasciato nessuna documentazione archeologica: resti di città, di edifici, manufatti, prodotti artigianali, ecc.
Questo Urvolk, questo “popolo di signori” ( cioè ariani), che secondo le più antiche teorie proveniva dal nord dell’India (quindi definibile anche come “Indo”), avrebbe conquistato e di fatto assimilato quasi tutti i popoli europei, ai quali avrebbe trasmesso le sue caratteristiche “razziali”, cioè fisiche, linguistiche e culturali. In riferimento a queste presunte dinamiche storiche, i razzisti parlano di popoli indo-europei, formula che sta ad indicare i due popoli (indiani ed europei), che poi si sarebbero fusi. I razzisti parlano pure degli europei come sinonimo di ariani, volendo indicare l’esito finale dell’incontro tra indo-ariani e popoli autoctoni dell’Europa, che sarebbero stati “arianizzati”,  quindi diventati “ariani”. I popoli autoctoni europei sarebbero stati arianizzati nei tratti fisici, nella cultura e nella lingua. Il linguaggio dei vari popoli indoeuropei avrebbe assunto caratteristiche diverse da popolo a popolo, risultato dell’incontro delle diverse lingue locali, cioè particolari, e della lingua dei conquistatori. Questa matrice comune , cioè l’eredità ariana, presente anche nel campo culturale ed etnico, permetterebbe di parlare di popoli indo-europei, cioè accomunati da una stessa lingua-cultura-etnia di base. Per questo motivo, ad esempio (almeno secondo queste discutibili teorie), popoli come l’italiano ed il tedesco avrebbero due lingue diverse (per le diverse componenti autoctone), ma pure simili , grazie alla stessa matrice ariana.
In realtà l’unica cosa comune che questi popoli sembravano avere erano certe somiglianze sul piano linguistico; da esse è stata dedotta in modo del tutto improprio un’affinità “razziale”. Due popoli che parlano la stessa lingua, però, non per questo sono dello stesso tipo fisico, della stessa “razza”: “Quando due popolazioni si mescolano, la lingua che ne risulta non sempre è quella della popolazione di maggioranza. A volte accade che la lingua che si impone alla popolazione meticcia è proprio quella della componente minoritaria”. L’esperienza del colonialismo ne è una chiara conferma: i conquistatori hanno imposto la loro lingua in interi continenti, come gli spagnoli nell’America del Sud, e “Quando la mescolanza razziale avviene tra due popolazioni numericamente diseguali, si può essere certi che tra i meticci che ne seguiranno saranno più numerosi i tipi caratteristici della popolazione di maggioranza”.
La teoria razzista fondata sul primato “razziale” degli ariani è, pertanto, una “dottrina” che prende spunto da elementi incerti e problematici e li rielabora in modo arbitrario per sostenere tesi ideologiche e indimostrabili.
Quando l’ideologia razzista in Germania ed in Italia diventa uno dei principali presupposti della politica legislativa dello Stato, gli armeni residenti in questi due paesi che cosa sono chiamati a dimostrare? Da che cosa devono difendersi? Che strategia difensiva adottano? Essi dovevano dimostrare di essere ariani , soprattutto mostrando la loro conformità per cultura, storia e stili di vita, al modello di uomo europeo, bianco e cristiano, considerato la tipica espressione della civiltà occidentale.
E, di contro, quali erano le accuse più insidiose che ne mettevano in discussione l’appartenenza al popolo degli eletti? Essenzialmente una, di essere come gli ebrei un popolo nomade, senza patria, senza legami, senza “terra”; di essere un popolo “diasporico”.
Anche le versioni più raffinate dell’antisemitismo, ma forse sarebbe meglio definirle le più ambigue e mistificatorie, presentano la dimensione diasporica come il segno distintivo degli ebrei, che starebbe ad indicare il loro essere “sradicati”, senza legami e senza vincoli: dalla terra, dai valori, da un’identità certa e riconoscibile.
Come si difesero gli armeni o quelli che, per simpatia o interesse, ne presero le parti? Senza considerare i patetici se non grotteschi rinvii – soprattutto in ambito tedesco – ai presunti contadini armeni con i capelli biondi e gli occhi azzurri, gli avvocati dell’ “arianità” degli armeni insistettero soprattutto nel sottolineare la vicinanza del popolo armeno alla storia, alla cultura, alla religione, alla politica dell’Europa cristiana che nel corso dei secoli si scontra ad Oriente e nel Mediterraneo con una serie di nemici che spesso furono gli stessi degli armeni. Gli armeni si presentano o sono rappresentati come ariani in quanto cristiani, cioè portatori della stessa cultura e religione dominante per secoli in Europa. L’identificazione tra ariani e cristiani, però, non ha alcun senso perché anche se volessimo ammettere l’esistenza di un originario popolo ariano, dovremmo considerarlo del tutto distante da quella che sarà la religione cristiana. Emile Benveniste ne Le vocabulaire des institutions indo-européennes nota, nel capitolo su “Religione e superstizione”, che “Non c’è […] un termine indoeuropeo comune per religione” ed il “papa” dei razzisti tedeschi, il Günther, sostiene senza mezzi termini che il cristianesimo è estraneo al mondo indoeuropeo ed è essenzialmente una “fede non aria”.
In Italia, però, c’era un’altra realtà, il cattolicesimo era religione di stato e posizioni neopagane ed anticristiane come quelle espresse in Imperialismo pagano di Evola, non rappresentavano correnti culturali o politiche ma posizioni isolate o di piccoli gruppi.
Gli armeni, seppure per interposta persona, riproposero una variante di una loro classica rivendicazione, di essere cioè gli “Europei d’Oriente”, i cristiani del Medio Oriente, gli Occidentali dell’Asia. Misero in risalto l’appartenenza al cristianesimo e quella parte della loro storia condizionata da questa vicinanza. Avrebbero potuto anche seguire un’altra strada, valorizzare ad esempio alcuni tratti della loro mitologia e della religione politeistica, divinità guerriere come Vahagn, ad esempio. Ma sarebbe stato un discorso elitario e con materiali inadeguati a supporto, per giunta estraneo ad una tradizione fortemente caratterizzata dal cristianesimo. Anche la difesa dall’accusa di essere una nazione diasporica fu svolta con l’argomento della fuga per preservare l’identità cristiana, quando si sarebbe potuto far riferimento alla realtà storica, che la diaspora armena è stata nel corso dei secoli, fuori dal conteso medio orientale, un fenomeno elitario e che solo dopo il genocidio del 1915 divenne un fenomeno di massa, che coinvolse un numero di armeni superiore a quello residente nei territori storici.
A favore degli armeni giocarono anche fattori storici e di politica internazionale; erano stati le vittime di uno stato, la Turchia ottomana, parte di uno schieramento contro cui l’Italia aveva combattuto una guerra che aveva provocato settecentomila vittime. Per un altro verso la presenza degli armeni era quasi inesistente in Europa, almeno in Germania e in Italia, mentre nei loro territori storici erano sotto un regime, quello sovietico, che si riteneva mal sopportato e da cui avrebbero voluto emanciparsi, realtà che ne faceva dei potenziali alleati.
In Italia gli armeni furono considerati ariani anche in ragione di una scelta logica ed allo stesso tempo politica. Se il Regime fascista, a differenza dei nazisti, avesse optato per la non “arianità” degli armeni, avrebbe mostrato in modo evidente la fragilità della stessa nozione di razza che, nel Manifesto della Razza, era definita “un concetto puramente biologico”, cioè certo, verificabile e oggettivamente fondato. Se non avesse riconosciuto la arianità degli armeni, il Regime di Mussolini sarebbe di fatto entrato in contrasto , seppure su una questione minore, con un alleato che di fatto era anche il leader della coalizione e dei movimenti fascisti europei.
L’insieme di questi fattori contribuì a salvare gli armeni dalla discriminazione e da ciò che ne sarebbe potuto derivare.

Il fenomeno razzista - il caso Armeno - Intervista a "Sicilia Libertaria"

Nel mese di dicembre è uscito negli USA un libro di Enrico Ferri, che insegna Filosofia del diritto e Storia dei paesi Islamici presso l’UNICUSANO di Roma, per l’editore Nova Publishers di New York, uno dei maggiori editori degli Stati Uniti, nella collana Focus on Civilizations and Cultures. Il libro ha per titolo Armenians-Aryans. The ‘Blood Myth’, the race Laws of 1938 and the Armenians in Italy. Ne parliamo con l’autore.

Q: Il noto filosofo della politica, David Mc Lellan ha scritto, commentando il tuo libro, che offre un contributo originale allo studio del fenomeno razzista.
A: Non sta a me giudicare le considerazioni di un intellettuale del calibro di David Mc Lellan che , tra l’altro, è anche un caro amico. Un dato però è evidente, nel mio libro si rilegge il fenomeno razzista attraverso una prospettiva inedita, cioè il “caso armeno”.
Q: Le leggi razziali non furono promulgate contro gli ebrei?
A: Le leggi razziste furono presentate “in difesa” della razza “ariana”. In sintesi si trattava di tutelare gli ariani (tedeschi ed italiani) dai non-ariani.
Q: Ma gli ebrei erano considerati semiti, quindi non ariani!
A: Si trattava di stabilire quali erano i criteri per distinguere gli ariani dai non ariani, cosa che le leggi razziali provarono a fare, senza riuscirci. Ad esempio, quando dovettero specificare il significato di razza ebraica, finirono con l’assimilarla alla religione ebraica: l’ebreo era chi professava la religione ebraica.
Q: Nella prima parte del tuo studio mostri come il fenomeno razzista ebbe una lunga gestazione e che già nel XVIII° secolo erano diffuse una serie di teorie fondate sull’esistenza delle razze e su una loro classificazione gerarchica. Quale fu l’elemento di novità del razzismo nazista e fascista?
A: Si cercò di sistematizzare quest’insieme di teorie, creando una sorta di razzismo di stato su basi scientifiche, impresa che fallì per motivi diversi. Il razzismo non ha alcuna base scientifica e gli stessi razzisti, come ad esempio Rosenberg ed Evola, parlano di “mito del sangue” e di “dottrina della razza”, non di scienza della razza. In sintesi il razzismo è un’ideologia e si può riempire dei contenuti più diversi, fatto salvo l’assunto di tutti i razzisti, che esistono le razze umane grazie alle loro specificità psico-fisiche.
Q: Ma le leggi razziali, come tu hai appena detto, mirano a distinguere e separare gli ariani dai non ariani. Chi erano gli ariani secondo i razzisti?
A: Non è facile rispondere a questa domanda. Esistevano varie teorie al riguardo. Si partiva dal presupposto che in epoche remote gli ariani avessero invaso l’Europa, in ondate successive, per poi mescolarsi con le popolazioni autoctone, che erano state assimilate, almeno dal punto di vista culturale.
Q: La questione posta in questi termini sembra assai generica. Chi erano gli ariani, da dove venivano, quali caratteristiche culturali, religiose e linguistiche avevano?
A: Secondo alcuni razzisti gli ariani provenivano dall’India del Nord, per questo la fusione tra ariani ed europei avrebbe dato origine alla razza indo-europea. Secondo altri razzisti venivano dal Caucaso, o dai territori a nord del Danubio, ma pure il Polo Nord o persino l’Isola di Atlantide erano considerate possibili terre d’origine di questo presunto popolo! Siamo nel regno del Fantasy piuttosto che della storia e della scienza.
Q: Ma come si faceva a sostenere che fosse esistito un popolo di ariani, se si ignorava persino la loro terra d’ origine?
A: Già nel XVIII° secolo alcuni linguisti scoprirono che quasi tutte le lingue dei popoli europei avevano una serie di caratteristiche comuni e ne arguirono che sarebbe esistita una lingua originaria dalla quale tutte sarebbero derivate. Quindi anche un popolo originario che abitava in una terra primordiale. A partire da alcuni dati linguistici simili, si creò una lingua originaria, di cui non ci sono tracce; un popolo originario che non ha lasciato nessuna testimonianza ed una terra ancestrale che non si sa dove sia. Se noi volessimo aprire un museo della storia e della civiltà ariane non avremmo un solo reperto, un solo documento da esporre, se non le bislacche teorie di sedicenti ed improvvisati esperti della razza come Rosenberg ed Evola.
Q: E come si inseriscono gli armeni in questo contesto ?
A: Le leggi razziste promulgate negli anni Trenta in Germania ed in Italia volevano “difendere” la purezza delle rispettive razze, quindi impedire che tedeschi ed italiani fossero “contaminati” da razze inferiori, che le razze si mescolassero e diventassero ibride, “bastarde”. Questa era una vera e propria ossessione per tutti i razzisti, a partire da De Gobineau che nel Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane prospetta un tragico destino dell’umanità a causa della mescolanza e della ibridazione delle razze superiori con quelle inferiori. Gli armeni, come gli ebrei, anche se con minore consistenza, erano presenti in molti paesi europei, anche in Italia, e si pose anche per loro il problema di dimostrare di essere ariani, per poter restare a vivere, lavorare e studiare nel nostro Paese. In caso contrario sarebbero stati discriminati, avrebbero rischiato di perdere le loro proprietà, di essere espulsi. Di avere, in sostanza, un destino simile a quello che fu riservato agli ebrei.
Q: Come ed in base a quali criteri gli armeni furono classificati?
A: Alcuni razzisti li assimilarono agli ebrei perché erano, come gli ebrei, un popolo diasporico e un popolo dove la casta sacerdotale aveva sempre avuto un ruolo importante, spesso di supplenza del potere politico, soprattutto nei tanti secoli in cui gli armeni avevano vissuto sotto dominazione straniera o per gli armeni della diaspora. Altri razzisti sostennero che gli armeni erano ariani perché parlavano una lingua del ceppo indoeuropeo, perché furono il primo popolo ad adottare il cristianesimo come religione di stato nel 301 e perché nella loro storia passata e recente avevano sempre avuto posizioni “filo-occidentali”, ossia vicine agli interessi degli stati europei ed ostili ai loro vicini medio-orientali come la Persia e la Turchia.
Q: Fu decisivo il fattore religioso, il loro essere cristiani?
A: In Italia fu considerato un dato positivo, ma molti razzisti tedeschi consideravano il cristianesimo un “setta giudaica” e Gesù un “rabbi semita”, facendosi fautori di una religione neo-pagana ed anti-cristiana. Anche in Italia Julius Evola sostenne queste posizioni in un libro come “Imperialismo pagano”, ma fu richiamato all’ordine dalle alte sfere del fascismo che volevano mantenere buoni rapporti con il Vaticano.
Q: Alla fine gli armeni furono considerati ariani!
A: Si, per diverse ragioni che poco o nulla c’entravano con la razza; soprattutto per motivi di ordine politico internazionale e per una certa benevolenza verso un popolo vittima di un genocidio da parte dei turchi, nel 1915, contro i quali l’Italia aveva combattuto nella prima guerra mondiale. In tal modo ai circa duemila armeni che vivevano in Italia fu risparmiata la discriminazione e l’esilio.